Temporary Manager · Export Manager · Controllo di gestione

Affrontare le crisi col coaching

Se andiamo a cercare il significato del termine Crisi vediamo che le definizioni sono differenti a seconda dell’ambito in cui lo usiamo, ambito medico, economico o personale. Però possiamo sintetizzare come fase caratterizzata dal rovesciamento di tendenza dalla prosperità alla depressione.

Ma che si faccia riferimento ad individui o di aziende, che poi sempre di individui si tratta, le emozioni provate sono sempre le stesse: disagio, senso di inadeguatezza, stress, delusione, difficoltà, paura, disorientamento.

Alla parola crisi, di solito, si attribuisce un significato negativo per via della definizione vista sopra e quindi legato ai sentimenti provati. Se, invece, riflettiamo sull’etimologia di questa parola (separare, discernere, giudicare, valutare), possiamo coglierne sfumature positive ossia crisi come momento di riflessione, di valutazione, rivisitazione che può trasformarsi in rinascita.

Nel momento in cui riconosciamo di vivere, sia come persona che come azienda, in una situazione che non ci fa stare bene allora è arrivato il tempo di cambiare, di trasformarci ed il coach può essere un valido alleato.

 

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in se genialità, magia e forza. Comincia ora.

(J.W.Göethe)

 

Arriva quella mattina, una mattina come tante, nella vita di ognuno di noi in cui ci siamo alzati, abbiamo guardato fuori dalla finestra, probabilmente con una tazza di caffè o di tè in mano, e ci siamo resi conto che il mondo è un luogo duro, difficile, usurante, estenuante, ingrato, dove vige la legge del più forte. Abbiamo realizzato di essere stanchi dei troppo: preoccuparsi troppo, amare troppo, dare troppo. Tutto troppo per un mondo, in realtà, ingrato. Ci siamo sentiti stanchi, non solo in senso fisico, ma stanchi di combattere, di provare, di andare avanti, di darsi agli altri, di provare di nuovo, di sentirsi feriti, stanchi delle incertezze. Siamo alla disperata ricerca della realizzazione, in ogni campo (lavorativo, familiare…), vogliamo di più ma non sappiamo come. Siamo stanchi della nostra realtà ma non sappiamo come cambiarla o siamo troppo spaventati per ricominciare. Dovremmo rischiare, ma se poi va male di nuovo? Dobbiamo ricominciare da capo e questo ci spaventa, ci stanca ancor prima di partire.

Non siamo sempre stati così, un tempo eravamo armati delle migliori intenzioni, disposti a conquistare il mondo e con una fiducia disarmante nei confronti del futuro. Ma ora…Ora sei logoro e insoddisfatto della vita.

Anche se non sembra, sei sulla strada del cambiamento, del divenire la versione migliore di te stesso.

Una nuova avventura ti attende. Tramite il percorso di coaching ti potrai vedere sotto una luce nuova. Durante questo viaggio non sarai solo, avrai un compagno, un alleato che starà sempre al tuo fianco e che crede in te, il coach.

Il coach, tramite l’ascolto, l’osservazione e la domanda, ti aiuterà a far emergere nuovi punti di vista per te più funzionali, a scoprire un nuovo te stesso ed ad esprimere concetti e soluzioni che non pensavi nemmeno di conoscere e, quindi, di cui non avevi la ben che minima consapevolezza. Gli obiettivi diventeranno sempre più chiari e sempre più nitidi, le tue competenze si espanderanno ed, insieme a loro, la fiducia nei tuoi mezzi aumenterà.

Vedrai il tuo nuovo futuro e lo vivrai come se fosse qui, definendo così l’insieme di azioni che oggi compirai per renderlo concreto e reale perché, comunque, il futuro arriva e dipende dalle scelte attente e non che facciamo tutti i giorni; però è altrettanto vero che le nostre scelte possono essere guidate dal futuro che immaginiamo.

Siamo sicuramente in grado di rivivere eventi sgradevoli del passato, ricordi dolorosi, immaginare fallimenti, incidenti, momenti difficili, rivivere rancori.

Siamo, altresì, in grado di immaginare i risultati positivi a cui vogliamo tendere in futuro, provare quel senso di soddisfazione nel raggiungerli, esprimere gioia e gratitudine per ciò che ci ha portato fino qui ossia tagliare di netto con il passato.

Cambiare definitivamente vita col coaching

Cambiare la nostra vita in meglio dipende esclusivamente da noi e da nessun altro.

E come?

Facendo.

E’ il fare alla base del cambiamento.

Fare cosa?

La maggior parte di noi nel momento di agire è disorientata, brancola nel buio e ha paura, quindi non sapendo che fare rimane ferma nella sua attuale situazione alimentando sempre più quel senso di disagio, di frustrazione e timore che percepisce.

Lo sapevate che le parole più ricercate in Google dagli italiani vi è la frase “cambiare decisamente vita”?

Ciò significa che la maggior parte degli italiani è insoddisfatta della propria vita ma contemporaneamente desidera cambiare abitudini e schemi.

Da questo punto di vista il coaching è il metodo che meglio si sposa con la natura del cambiamento.

Il coach può aiutare la persona (dirigente, imprenditore, impiegato, studente, casalinga ecc…) a gestire il cambiamento con consapevolezza, definendo gli obiettivi e le azioni necessarie per raggiungerli sulla base delle proprie attitudini e potenzialità, di cui abbiamo preso coscienza proprio grazie al coach.

Quindi il coaching aiuta a trovare le risorse necessarie per cambiare il nostro modo di vivere.

In questo modo ciò che in un primo momento poteva sembrarci negativo, problematico e pauroso, ora grazie alla nostra nuova consapevolezza e visione, adesso assume un’ottica del tutto diversa di certezza di miglioramento.

Il coaching è in grado di aprire i nostri orizzonti, modificare le nostre credenze, darci occhi nuovi per guardare oltre la linea dell’orizzonte, di farci comprendere che niente è impossibile da raggiungere.

Sapersi assegnare gli obiettivi col coaching

Raggiungere degli obiettivi prefissati è una delle sfide che la vita ci impone sia a livello lavorativo che personale.

Gli obiettivi non sono altro che la realizzazione e la concretizzazione dei propri desideri.

Ma non è così facile definire un obiettivo in modo chiaro perché non sempre si hanno idee chiare su cosa si vuole, di solito si sa che cosa non si vuole.

Con il coaching il cliente non viene convinto a raggiungere un obiettivo ma viene aiutato a fare chiarezza dentro di se e stabilire, con consapevolezza e precisione, quali sono gli obiettivi che vuole realmente raggiungere. Verranno valutati gli ostacoli che potranno presentarsi, i propri punti di forza, le esperienze passate da cui attingere. Il cliente arriverà così ad avere una visione chiara, troverà l’energia necessaria e la motivazione per arrivare al compimento e pianificherà delle azioni che insieme formeranno così il piano di azione, azioni che verranno continuamente monitorate ed eventualmente adattate.

Insomma il coaching mira a dare una risposta a queste 3 domande:

  1. Cosa vuoi raggiungere?

  2. Quanto lo vuoi e quali sono gli ostacoli che si possono incontrare e superare?

  3. Quali azioni attui per raggiungerlo?

La premessa fondamentale del coaching è che ognuno di noi è già capace di raggiungere i propri obiettivi.

Il fatto che gli obiettivi che il cliente si prefigge di conquistare siano da lui liberamente scelti, individuati e determinati è alla base di un percorso di coaching efficace.

In questo modo si attiva un vero e proprio processo di autodeterminazione ed auto responsabilizzazione che potenzia le capacità di raggiungere lo scopo prefissato.

Il coaching mette al centro del percorso la persona ed il suo obiettivo e la aiuta a trovare la sua strada per raggiungere il suo successo e la sua soddisfazione  

 

Perché scegliere un percorso di coaching?

In un mondo ipertecnologico, dove la comunicazione, ormai, passa per la maggior parte tramite messaggi istantanei ed e mail, molti compiti lavorativi, là dove è possibile, viene svolta da programmi informatici, si è sottoposti a bombardamenti di informazioni, le situazioni di malessere e di smarrimento aumentano: donne e uomini insoddisfatti della loro vita affettiva e lavorativa là dove apparentemente funziona tutto per il meglio, uomini , donne, ma anche ragazzi, vittime di attacchi d’ansia, studenti universitari che non sanno il motivo per cui hanno scelto una determinata facoltà e così via l’elenco è lungo. Il minimo comune denominatore di tutti questi casi è la mancata conoscenza di se stessi, la poca confidenza con i propri desideri, la perdita del ruolo.

E’ proprio qui che arriva in aiuto il percorso di coaching.

Il coaching è un metodo che ti aiuta nella vita di tutti i giorni, ti porta a migliorare ed ad evolverti.

Attraverso la scoperta e l’allenamento delle tue qualità e potenzialità già presenti in te al momento della nascita, il coach ti ascolta e ti supporta in un percorso in cui i tuoi desideri di cambiamento e/o miglioramento si trasformano in obiettivi concreti, prenderai piena consapevolezza di te stesso e potrai dare un senso alla tua vita esprimendo la tua individualità. Il coaching parte dall’antica idea di Platone del Daimon ossia ognuno di noi ha dentro di se un seme che contiene tutto il nostro potenziale che, però, deve essere individuato, aiutato a crescere e modellato per dargli una forma precisa. Una volta che questo potenziale sarà sviluppato potremmo comprendere il nostro personale progetto.

  • Identità
  • Autonomia
  • Desiderio di eccellere e di autorealizzarsi

sono tendenze innate ed universali, secondo lo psicologo statunitense Abraham Maslow, noto per la sua teoria di gerarchizzazione dei bisogni, che ognuno di noi ha dentro e non può disattendere.

Il coaching è una bussola che ti aiuta in ciò ed il coach è colui che ti aiuta ad orientarti. Potrai trasformare il tuo malessere e smarrimento nella situazione di benessere che vuoi vivere.

Attraverso il Life Coaching potrai:

  • Individuare le tue capacità e potenzialità
  • Sviluppare i tuoi talenti
  • Definire il tuo obiettivo professionale e di vita
  • Realizzare il piano di azione che più ti si confà raggiungendo così i tuoi obiettivi e la felicità
  • Migliorare i tuoi rapporti con gli altri
  • Gestire e superare momenti di stress elevato e stati d’ansia
  • Essere efficienti nella gestione del proprio tempo

Scopri:

  • Chi sei veramente e quali sono le tue potenzialità

Allena:

  • L’ascolto e l’empatia

Individua:

  • In massima libertà i tuoi obiettivi

Infine

  • Raggiungili.

I tuoi dipendenti sono nel ruolo giusto? Scoprilo col coaching.

Ti sei mai chiesto se i tuoi collaboratori sono le persone giuste nel ruolo giusto o potrebbero ottenere performance più elevate se collocate in un altro ruolo o in un altro settore? Oppure se la persona che hai designato per un particolare ruolo di responsabilità lo voglia accettare oppure sia realmente in grado di sostenerlo? O se sono presenti in loro capacità rimaste ancora inespresse?

Il metodo del coaching ti aiuta a dare una risposta a queste domande.

Il coach aiuta il collaboratore a prendere piena consapevolezza di se stesso come individuo e professionista, allenare e utilizzare le potenzialità che lo caratterizzano per raggiungere gli obiettivi e l’eccellenza sia a livello personale che professionale sulla base di piani d’azione da lui decisi.

I vantaggi per i collaboratori e di conseguenza per l’azienda sono rappresentati da:

  • in primis dal miglioramento della performance e della produttività: tramite il coaching emerge il meglio dagli individui e dal team
  • crescita personale
  • miglioramento dell’apprendimento
  • miglioramento delle relazioni interpersonali: il fatto di porre delle domanda ad una persona attribuisce valore alla persona stessa e alla risposta
  • miglioramento della qualità della vita dei collaboratori
  • più tempo per i manager: il coaching fa si che i dipendenti si assumano le responsabilità e, di conseguenza, il manager non ha bisogno di affiancarli in ogni momento per controllarli, quindi è libero di occuparsi di mansioni importanti cosa che prima era impossibilitato a fare
  • maggiori idee creative: il coaching incoraggia l’espressione di idee creative da parte di tutti i membri di un team, senza paura che vengano ridicolizzate o scartate a priori. Si dice che da cosa nasca cosa, pertanto, può esserci una moltiplicazione di suggerimenti creativi
  • scoperta di talenti inespressi: molto spesso un manager, prima di fare coaching, non ha nessuna idea delle risorse nascoste che ha a disposizione, tramite il coaching scoprirà talenti inespressi, soluzioni inesplorate che solo il collaboratore che svolge regolarmente un compito riesce ad individuare
  • personale più proattivo: le persone che lavorano in un ambiente in cui si sentono apprezzate saranno quelle che faranno sempre del loro meglio prima ancora che glielo si chieda a differenza dei dipendenti di aziende in cui non si riconosce alle persone il loro valore
  • aumento della flessibilità e adattamento ai cambiamenti: il fulcro del coaching è il cambiamento, l’essere reattivi e responsabili, in futuro la necessità di flessibilità non diminuirà aumenterà. Maggiore competizione sul mercato, innovazioni tecnologiche, incertezza economica e instabilità sociale faranno si che sopravviveranno solo le persone flessibili e dotate di buone capacità di ripresa
  • personale maggiormente motivato: il coaching aiuta le persone a scoprire la proprio automotivazione
  • cambiamento di cultura: il coaching facilita il cambiamento culturale aziendale
  • fornisce un’abilità utile per tutta la vita: il coaching fa assumere comportamenti e atteggiamenti che si integrano nella persona e che verranno tenuti anche al di fuori dell’ambito del lavoro.

Parlando di numeri, da un’indagine della società di consulenza Price Waterhouse Cooper effettuata su richiesta dell’International Coach Federation, associazione a livello mondiale di coach professionisti, è emerso che i benefici dell’utilizzo del coaching applicato ai collaboratori sono i seguenti:

  • Aumento della produttività: 70% miglioramento delle performance

          61% miglioramento del business management 

57% miglioramento del Time Management

51% miglioramento dell’efficacia del lavoro in del team

  • Dipendenti positivi: 80% hanno migliorato la sicurezza di se

          73% Hanno migliorato le relazioni

                                                    72% Hanno migliorato le capacità di comunicazione

         67% Hanno migliorato il work/life balance

 

Il ritorno di investimento è stato dell’ 86%.

La soddisfazioni dei clienti è stata del 99% e il 96% ripeterebbe l’esperienza.

Dati ufficiali da International Coach Federation.

Come il benessere personale diventa benessere aziendale

La differenza tra un’azienda leader del proprio settore e un’azienda agli ultimi posti è data soprattutto dai collaboratori. Nella maggior parte delle aziende il collaboratore medio è una persona che:

  • svolge la stessa mansione per 30-40 anni 
  • non conosce gli obiettivi aziendali pertanto non può creare nulla di nuovo ma solo ripetere ciò che fa già
  • viene caricato a dismisura di lavoro, soprattutto se dimostra di essere bravo, capace ed impegnato e, se il suo buon lavoro non viene riconosciuto con bonus, premi o promozioni, pensa di essere sfruttato
  • sente che i profitti sono più importanti di lui e dei suoi bisogni
  • ritiene di essere gestito in modo troppo autoritario di non essere considerato un collaboratore che grazie alla sua creatività e conoscenza può dare un contributo costruttivo allo sviluppo dell’azienda ma un subalterno che deve eseguire pedissequamente gli ordini.

Un collaboratore insoddisfatto arriva ad associare il clima aziendale ad uno stato di:

  • mutismo, 
  • tristezza
  • rassegnazione.

Le conseguenze sono nefaste:

  • errori,
  • calo della qualità dei prodotti e dei servizi,
  • assenteismo,
  • sfiducia,
  • inefficienza
  • sovraccarico di informazioni (conflitti di competenza),
  • iniquità,
  • elevato turn over (i migliori se ne vanno lasciandosi alle spalle coloro che sono troppo mediocri e/o apatici per trovare una posizione migliore),
  • difficoltà nel far eseguire le attività assegnate e così via.

In passato si riteneva che gli unici responsabili fossero esclusivamente i collaboratori, ultimamente si sta facendo strada l’idea che i collaboratori, soprattutto i migliori, lasciano il loro posto di lavoro non a causa del lavoro in se o dell’organizzazione ma a causa dei loro capi (management).

In un clima del genere dove la cultura del sospetto e dello svilimento è pratica ordinaria è difficile ottenere performance di ottimo livello. L’azienda deve evitare lo stress negativo e contribuire al miglioramento della vita lavorativa e personale dei collaboratori, deve costantemente prodigarsi affinché l’ambiente di lavoro offerto sia sereno e collaborativo. Inoltre deve far sì che il management sia in grado di guidare e motivare il proprio team, affidare obiettivi stimolanti e adottare nuovi approcci. Una soluzione è sicuramente il metodo del coaching.

Infatti il coaching aziendale o business coach è un percorso che mette al centro dell’azienda la persona nel suo complesso valori, desideri, aspirazioni, motivazioni; può essere applicato sia a livello di singolo soggetto sia a livello di gruppo.

Il coaching in azienda consente di:

  • aiutare il management a gestire in maniera più efficacie i propri collaboratori
  • aiutare a gestire al meglio lo stress ed il tempo
  • sviluppare la capacità di delega
  • migliorare la comunicazione tra i collaboratori ed il management e tra i collaboratori stessi
  • raggiungere gli obiettivi
  • sviluppare la consapevolezza personale
  • rafforzare la sicurezza personale e l’autostima
  • aumentare la propensione al problem solving e al decision making
  • incrementare le performance dei collaboratori

John Whitmore, colui che ha sviluppato il coaching in azienda, sostiene che “Se un manager applica i principi del coaching, ottiene allo stesso tempo due scopi: che il lavoro venga svolto secondo standard qualitativi più alti e che i suoi collaboratori sviluppino al meglio le loro capacità.“ ecco come il benessere personale diviene benessere aziendale.

Anatocismo bancario: novità e riflessioni

Da un mese a questa parte chiunque abbia un conto corrente ha ricevuto, da parte della propria banca, una comunicazione relativa ad una proposta di modifica unilaterale del contratto di conto corrente e più precisamente dell’articolo denominato “chiusura periodica del conto e regolamento degli interessi, commissioni e spese” delle “condizioni generali di contratto del conto corrente e dei servizi associati”. Ma vediamo di capire nel dettaglio di cosa si tratta. Con il Decreto legge 14/02/16 n. 18, convertito con alcune modifiche, in legge lo 08/04/16 n. 49 è stato modificato l’art. 120, comma II, del Decreto Legislativo 01/09/1993 n. 385 (TUB). L’articolo 120 del TUB è un articolo molto importante in quanto disciplina il calcolo degli interessi oltre le valute. In questo modo sono stati apportati dei cambiamenti proprio a questo computo. Tale modifica ha subito suscitato commenti postivi che hanno posto l’accento sulla fine dell’anatocismo* ed altri ferocemente negativi da parte di professionisti schierati dalla parte dei consumatori che, invece, leggono la nuova legge come un ritorno all’anatocismo bancario già secondo loro legalmente abolito dalla versione precedente dell'art. 120 del T.U.B. così come modificato dalla legge di stabilità del 2014.

 

Nuove nuove buone nuove?

Il nuovo testo della disposizione è il seguente:

Il CICR stabilisce modalita' e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicita' nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido:

1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili;

2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata e' considerata sorte capitale; l'autorizzazione e' revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo.

 

Perché state ricevendo o avete già ricevuto queste comunicazioni?

Perché L’art. 5 della Delibera CICR ha imposto alle banche di applicare la nuova disciplina a partire dal 01/10/2016. Ma analizziamo più da vicino questa delibera, essa riguarda:

  • qualsiasi individuo che abbia in essere un rapporto contrattuale con un intermediario, ossia le banche, gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 T.U.B. e altri soggetti abilitati ad erogare a titolo professionale finanziamenti disciplinati dal Titolo VI del TUB;
  • le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, compresi i finanziamenti a valere su carte di credito, i rapporti di conto corrente, i rapporti di conto di pagamento, le aperture di credito regolate in conto corrente, le aperture di credito regolate in conto di pagamento anche quando la disponibilità sul conto è generata da operazioni di anticipo su crediti e documenti, gli sconfinamenti.

Con queste comunicazioni la banca parte dal presupposto che in tutte le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, gli interessi debitori non possono produrre altri interessi, tranne che nel caso di interessi di mora (art. 3 delibera CICR 343/2016) e propone la modifica unilaterale del contratto di conto corrente in relazione ai seguenti punti:

  1. Gli interessi creditori e debitori sono conteggiati con la medesima periodicità, ossia al 31 dicembre di ogni anno e comunque non per un periodo inferiore all’anno, a meno che non si tratti di un caso di chiusura di rapporto di conto, nel caso di contratti stipulati in corso d’anno il conteggio comunque è effettuato al 31 dicembre;
  2. Gli interessi creditori maturati verranno accreditati in conto e produrranno altri interessi;
  3. Nel caso di interessi provenienti da apertura di credito in conto corrente o conto a pagamento, da sconfini oltre il fido accordato o su conti non affidati, gli interessi debitori dovranno essere conteggiati separatamente dal capitale. Questa prescrizione serve a far si che, scaduto l’anno, gli interessi vengano calcolati solo sul capitale e non sulla somma capitale più interessi maturati nell’anno precedente. Tali interessi saranno esigibili l’1 marzo e, comunque, non prima del trentesimo giorno successivo a quello in cui il cliente ha ricevuto l’estratto conto e lo scalare interessi relativi al mese di dicembre. Una volta che gli interessi siano esigibili potrete agire in uno dei seguenti modi: a) pagare, gli interessi continueranno ad essere conteggiati solo sul capitale, nel contratto tra banca e cliente può essere convenuto che i fondi entranti nel conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento possano essere impiegati per estinguere il debito da interessi; b) autorizzare l’addebito in conto, in allegato alla comunicazione avrebbero dovuto inviarvi un modulo per il relativo consenso, e, di conseguenza, gli interessi verranno considerati capitale e quindi base di calcolo per il prossimo computo comunque si tratta di un’autorizzazione revocabile in qualsiasi momento, per tempi e forme si consiglia di informarsi presso la propria filiale; c) non pagare e non autorizzare l’addebito in conto, diventate così inadempienti e, vi verranno, pertanto, addebitati gli interessi di mora;
  4. In caso di chiusura definitiva del conto corrente, il saldo produce interessi nella misura stabilita dal Documento di Sintesi, gli interessi creditori e debitori sono esigibili immediatamente da parte della banca;
  5. Le commissioni, le spese e le trattenute fiscali possono essere addebitate trimestralmente.

Con quali effetti?

Con le nuove modifiche, gli interessi verranno conteggiati una volta l’anno, il 31/12, e saranno esigibili in un’unica soluzione dal 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati, in altre parole gli interessi divengono esigibili, per legge, dopo un certo tempo e non più trimestralmente come eravamo abituati. Questa situazione può nascondere un pericolo, quello di non averne previsto l’uscita per tempo, ossia un accantonamento di fondi, con conseguente rischio di sconfino di conto e relative commissioni aggiuntive oppure impossibilità di pagamento dei propri fornitori. Nella realtà ciò che resta al correntista è la facoltà di scelta: pagare gli interessi maturati extra fido, cioè senza utilizzare il fido, nell'anno solare precedente al 1° marzo di ogni anno oppure farli addebitare in conto dando così via alla capitalizzazione composta degli stessi.

Quindi per evitare brutte sorprese, situazioni imbarazzanti e spreco/perdita di denaro diventa importante avere accanto la consulenza di un professionista esperto di finanza e banche che possa spiegarti e delucidarti sui comportamenti delle banche e possa accompagnarti in un progetto di risparmio sui rapporti bancari e sull’organizzazione della tua azienda in generale.

 

*ANATOCISMO BANCARIO: fenomeno per il quale gli interessi maturati sul conto corrente bancario a seguito dell’impiego di una linea di fido concessa dalla banca con cui si intrattiene il rapporto vengono addebitati sul conto stesso e divengono, a loro volta, una somma sulla quale maturano successivamente ulteriori interessi.

Badbossology e risorse umane: la guida del consulente direzionale.

Come ho scritto in un articolo pubblicato su Ottica Italiana, rivista di riferimento del settore ottico optometrico italiano, ho notato che le aziende che hanno intuito la necessità di smettere di puntare sulla sopravvivenza, per passare dunque al rilancio, stanno iniziando sempre di più a valutare quali sono le migliori strategie di valorizzazione delle risorse umane. La crisi ha spesso costretto ad una riduzione della quantità di risorse e dunque ora bisogna ottenere il meglio da ciò che si ha. La differenza tra una strategia di sopravvivenza e quella di rilancio sta tutta nel modo con cui si vuole gestire il “poco”: i primi cercano di ottenere gli stessi risultati di prima attuando tecniche di maggiore sfruttamento delle risorse, i secondi hanno capito che in realtà ci sono enormi margini di miglioramento se le risorse umane vengono valorizzate e non cadono in quella che si può definire “badbossology”.

Partiamo dalla parola “boss”: sei un boss o un leader? Nel primo il tuo atteggiamento è tutto concentrato nel farti riconoscere come un'autorità, a scapito però di una reale possibilità di leadership. La conseguenza è dunque essere incapaci di generare un clima di collaborazione attiva, cioè di interesse da parte di tutti per il proprio lavoro, per il raggiungimento del risultato.

Uno degli obiettivi che l'atteggiamento autoritario del boss favorisce è, piuttosto, il generarsi di una grande quantità di stress nelle risorse umane, che avranno come primo obiettivo quello di non contraddire il boss, anche quando sarebbe utile, e plasmare il proprio atteggiamento all'insegna del quieto vivere. In poco tempo si faranno evidenti i primi effetti collaterali: calo della qualità, desertificazione degli stimoli, rassegnazione, calo della produttività, errori, assenteismo. Se non si porrà presto un rimedio, l'effetto a catena è inevitabile: sfiducia nel management, deterioramento dei rapporti con conseguenti problemi di conflitto di competenza e, infine, mancati introiti fino al fallimento.

Come consulente di direzione, dal mio punto di vista e da quello di molti altri colleghi, si sta consolidando rapidamente l'idea che è appunto il problema della “badbossology” la radice di questi sintomi, tradizionalmente attribuiti solo alle risorse umane.

Perché il “bad boss” è così “bad”? Non è solo un problema di carattere individuale, perché ad esempio anche l'evoluzione del mercato del lavoro, più incline alla precarietà ma anche alla flessibilità e alla mobilità, ha favorito l'emergere di questo atteggiamento. In Italia poi, dove più che in altri paesi la struttura tipica di tante imprese è basata ancora sul modello familiare padrone/dipendenti, il problema ha radici più robuste.

Ho dunque stilato una lista di 10 caratteristiche del “Bad Boss”, che elenco anche qua.

Il Bad Boss è:

1. saccente: sa tutto lui e non mette in discussione le sue idee; questo porta a superficialità e soprattutto ad una mancata responsabilizzazione dei dipendenti (mai chiamarli collaboratori!)

2. dispotico: non sono ammesse sfide al suo potere, nemmeno sotto forma di lamentela

3. autoritario: ogni regola o comportamento aziendale parte innanzitutto dall'autorità del capo

4. accentratore: ogni decisione passa per il vertice, nessuna delega è davvero tale

5. (apparentemente) introverso: perché comunicare significa rivelare “segreti” che minano la solidità del potere

6. ingrato: nel senso letterale: non gratifica, non valorizza i buoni risultati perché sono dati per scontati; le critiche sono invece frequenti e gratuite

7. non è di esempio: sono i dipendenti che devono essere bravi ed aiutarsi tra loro; al capo le regole non si applicano, perché viene prima

8. ansioso: questa è la conseguenza del punto 4: troppe decisioni da prendere lo rendono lento e inefficace, nonché timoroso del cambiamento molto più del normale. L'ansia però ha ripercussioni negative a sua volta, perché rende non lucidi ed è contagiosa.

9. contrario alla formazione: come per il punto 5, un dipendente che cresce è una minaccia al potere. Che cosa succederebbe se un dipendente si mostrasse più competente ed aggiornato del padrone?

10. manipolatore: “divide et impera”, cioè crea zizzania tra i dipendenti in modo da consolidare la propria figura come unica autorità rispettata.

 

Da bad boss a leader

Lavorare su questi 10 punti, semplicemente capovolgendoli, crea invece un ambiente di lavoro sano, stimolante e più produttivo, guidato da un leader che conduce tutti quanti verso l'obiettivo, senza lasciare nessuno indietro. Ogni risorsa umana può così realizzare se stessa, sentendosi dunque meno stressata e anzi contenta di recarsi al mattino in un posto dove sa di essere apprezzata e di potersi migliorare ancora. Quando il Bad Boss diventa leader, sarà innanzitutto riconosciuto tale per la sua autorevolezza, e quando sarà necessario spronare qualcuno, sarà per lui più facile farsi ascoltare e, soprattutto, ottenere il risultato.

 

L'aiuto di un consulente di direzione

Sei un bad boss pentito? La tua azienda soffre perché non riesce a gestire nel modo più proficuo le risorse umane? Nella tua azienda il clima è poco sereno a scapito dei guadagni? Affrontiamo insieme l’argomento su info@beatricezannarini.it e tramite il mio sito www.beatricezannarini.it.

Dopo la Brexit: l'opinione dell'export manager

Sono passati diversi mesi da quando la Gran Bretagna ha votato l’uscita dall’Europa e quindi si è schierata a favore della Brexit.

Prima, durante e dopo le elezioni le principali testate economiche e finanziarie gridavano alla rovina del Paese e prevedevano fuga di capitali e di investitori e si parlava già di recessione, “brecession” con grande agitazione degli imprenditori la cui forza principale per la sopravvivenza era e rimane l’esportazione.

In realtà ad agosto l’indice Markit dei servizi, il settore dominante, ha segnato una ripresa dopo il crollo avvenuto nel mese di luglio; un miglioramento record, se si pensa che è l’incremento mensile maggiore nei suoi 20 anni di storia. Ad esso si affiancano risultati incoraggianti anche nel settore manifatturiero e delle costruzioni. Inoltre è aumentata la domanda interna e si assiste ad un rafforzamento dell’attività di export grazie all’indebolimento della sterlina, indebolimento che porterà un aumento del flusso di turisti. Tale sviluppo, però, potrebbe richiedere tempo e potrebbe essere compensato dalle importazioni.

In realtà i dati mensili sono sempre molto volatili quindi saranno i prossimi mesi quelli della verità e si capirà se l’economia si è contratta o sta segnando una modesta crescita. Sicuramente nel breve periodo la Brexit non sarà quel disastroso Tsunami predetto da tutti.

Metà degli scambi commerciali della Gran Bretagna avvengono con i Paesi dell’UE e si sta registrando un’evoluzione delle dinamiche dell'import e dell'export dei due mercati.

In uno scenario del genere e con il fatto che adesso gli animi si sono calmati ed è possibile valutare con lucidità ed un sano distacco la situazione, possiamo sbilanciarci su una previsione in due tempi.

Breve-medio periodo: nei prossimi mesi e anni il calo del peso della sterlina penalizzarà in generale l'esportazione verso l'UK, ma per le aziende italiane appartenenti ai settori del lusso, della moda e del food, proprio grazie alla consolidata consapevolezza della qualità e ricercatezza di nostri alcuni prodotti, si potranno creare occasioni d'oro se ci si saprà mettere in mostra su nuovi aspetti del nostro valore aggiunto, capaci di valere l'accresciuta differenza di peso delle due monete, e se ci si dimostrerà più abili di altri (a livello di ogni singola azienda) in termini di capacità di gestire e saper sfruttare il nuovo assetto di regole per migliorare la qualità e la sicurezza di tutto il ciclo della transazione (ordine, tasse, trasporto, pagamento, assistenza, ecc.)

Nel lungo periodo, per quanto sia difficile fare previsioni in un clima di incertezza e di grandi sconvolgimenti in agguato, se l'UK riuscirà a consolidare la crescita, a maggior ragione tornerà ad avere “fame” di prodotti esteri per via di un progressivo riallineamento dei valori di sterlina ed euro.

In ogni caso in questo momento la figura dell'export manager è esattamente quello che serve per seguire giorno per giorno l'evolversi della “crisi” in atto tra UK ed UE, e per immaginare percorsi di vendita sicuri e vantaggiosi per entrambe le parti. Si possono immaginare perdite di quote di fatturato con clienti in UK se non si sarà capaci di regire prontamente alle novità e se non si avrà a disposizione la consulenza di un export manager esperto di commercio internazionale.

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Export Manager: che cosa fa?

Il sistema produttivo italiano impiegherà molti anni per tornare ai livelli pre-crisi, questo ormai è evidente anche ai non economisti. Quello che però ancora sembra essere un solido vantaggio per l'Italia è il riconoscimento universale dell’alta qualità dei nostri prodotti, e quindi del marchio Made in Italy. Questo vantaggio in molti settori è già ampiamente sfruttato, ed è diventato una vera àncora di salvezza per il Paese: quando si parla di vini, formaggi, automotive, meccanica e altissima moda, spesso si sente dire che questi settori “tirano” grazie all’export, ed è questo il grande obiettivo per molte aziende che vogliono tornare a cercare sbocchi in mercati più ampi.

 

Ogni azienda dovrebbe valutare di esportare? L'export è solo per le aziende grandi o che stanno bene? In realtà le opportunità dell'export dovrebbero essere valutate proprio dalle aziende che hanno difficoltà economiche, cioè quelle che negli ultimi anni hanno visto contrarre la domanda non perché il prodotto non è più “buono”, ma perché semplicemente certe abitudini di acquisto oggi sono sostenibili per un numero più ridotte di persone. Diversa ovviamente è la situazione di aziende non sane, che vendono prodotti obsoleti o che non riuscirebbero a stare su qualsiasi mercato.

 

Da dove si comincia? Le opportunità dell'export sono tantissime, ma una cosa è certa: un'azienda non può affrontare un simile impegno pensando di liquidare il tutto in pochi passaggi. Come si suol dire, Roma non è stata costruita in un giorno. Per questo motivo, attualmente una delle figure professionali più ricercate è l'export manager. Il motivo è che per iniziare a rivolgersi al mercato internazionale si ha bisogno di riorganizzarsi attorno ad un modello di business che non può dare più per scontate alcune cose: dalla lingua del cliente alle normative sul trasporto delle merci, da come deve cambiare la comunicazione commerciale, soprattutto in contesti culturali completamente diversi, alla gestione dei pagamenti con aree fuori dal mercato unico. Perfino il modo di condurre le trattative va riconsiderato.

 

Insomma, è necessaria una figura che per un periodo di tempo determinato accompagni per mano l'azienda fuori dalla propria “comfort zone” nazionale, evitando un lungo periodo di errori e costosi tentativi a vuoto. Bisogna organizzare la rete vendita e il personale, studiare le normative e prendere i contatti con persone che non parlano la nostra lingua ma che già da ora sarebbero ben contenti di entrare in affari con aziende italiane.

 

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